Caetano Bernardi è il papà di Tommaso, sedicenne affetto da anoressia nervosa, ricoverato in un reparto di neuropsichiatria infantile perché ha assunto un’overdose di pillole dimagranti.
Veglia sul figlio notte e giorno dal letto accanto, si interroga sulle ragioni che hanno condotto il ragazzo fino a quel punto, aspetta il suo ritorno “come Ulisse e Telemaco al contrario”. Protagonista del romanzo di Matteo Bussola La neve in fondo al mare (Einaudi, 2024, pp.192, 17 euro), Caetano trascorre giorni nel reparto in cui è ricoverato il figlio, ripercorrendo la sua esperienza di padre alla ricerca di un suo errore, dell’origine del male, e incontrando altri ragazzi sofferenti, altre storie e altri genitori smarriti.
Due sono i temi principali del racconto. Il primo è la sofferenza mentale dei giovani, che ci destabilizza, ci coinvolge e ci porta a riflettere sul secondo: il compito dei genitori, il loro rapporto con figli e figlie, le aspettative sociali nei loro confronti. In particolare, l’esperienza della paternità.
“’Sti papà non sai mai dove metterli”
Nonostante Caetano sia un papà presente nella vita del figlio, quando rievoca la nascita e le prime esperienze di vita di Tommaso lo fa con amarezza, per un senso di estraneità che sente di non meritare, un senso di estraneità imposto in parte dalla natura, ma soprattutto dalla cultura.
“Ti tengo in braccio che hai un minuto di vita. Hai labbra rosse e sottili, occhi dal taglio orientale, stretti e allungati, un colorito violaceo che per un attimo ci ha fatti preoccupare. Sul panno che ti avvolge ci sono ancora tracce di sangue e fluidi corporei, sulla pelle del viso piccoli filamenti biancastri: i segni della tua prima battaglia di figlio e della mia prima impotenza di padre. Sembri così arrabbiato, mentre le tue urla riempiono la stanza dalle pareti verdi, il grido antico di chi è stato sottratto al suo essere intero, di chi si trova di colpo nuovo e diviso. Quando il tuo pianto aumenta, quasi ti strappano dalle mie mani per riconsegnarti a tua madre, perché – mi spiegheranno in seguito – lo skin to skin con la mamma è fondamentale per calmare il bambino, regolare il suo respiro, placare il battito. Resto in piedi con le braccia vuote protese in avanti, già orfano di te, vi guardo immobile, un’ostetrica mi passa di fianco e mi urta con un vassoio. – ’Sti papà non si sa mai dove metterli, – dice con un tono carico di comprensibile stanchezza”.
Al contrario delle madri, che vivono nella carne il loro rapporto con i figli ancor prima del parto, i padri devono costruirselo giorno per giorno dal momento della nascita “e a volte non ci riescono mai”, osserva Caetano. È la sofferenza di Tommaso che porta alla luce il senso di estraneità di Caetano. Senza la crisi, non sarebbe mai emerso e le sue istanze di cambiamento sarebbero rimaste invisibili. Lui ama suo figlio e fa tutto quello che la società chiede a un bravo padre di fare. Perché allora non ottiene la ricompensa che gli spetta, un figlio felice?
Gli altri padri e madri, gli altri figli e figlie
Le vicende parallele degli altri ragazzi e ragazze ospiti del reparto e delle loro famiglie ci permettono di allargare lo sguardo su altre situazioni, reazioni, modi di vivere il rapporto genitoriale. Quello del padre di Marika, Franco, che nega la sofferenza della figlia, la accusa di essere una manipolatrice, contesta il parere dei medici con un atteggiamento esasperato che tradisce la sua stessa fragilità. Quello del padre di Nicholas, sopraffatto dagli scatti di violenza del figlio, inebetito. Quello di Amelia, divorata dal rimpianto per la vita di prima, prima della malattia di sua figlia, prima di sua figlia, e dal senso di colpa per il suo rimpianto. E gli altri padri e le altre madri rappresentati solo con qualche pennellata, per ricordarci che il panorama delle storie umane è vario.
Salvo un singolo caso, questa carrellata suggerisce che non ci sono colpe specifiche all’origine della sofferenza di figli e figlie, ma errori involontari e umana imperfezione.
Dinamiche inevitabili
Anche Caetano, pur sentendosi inadeguato, non ha vere colpe, se non quella di avere proiettato sul figlio la propria idea di felicità. Né lui, né sua moglie, che pure ha dato alla luce Tommaso, hanno la ricetta segreta per preservare il ragazzo dalla sofferenza: è destino che figli e figlie prendano la loro via e non è facile trovare il giusto equilibrio tra l’accompagnarli e il lasciarli liberi.
A questo punto il tema della sofferenza mentale è servito allo scopo di introdurre una riflessione sulla genitorialità e ha portato a termine il suo compito. Così le vicende di Tommaso e dei suoi compagni e compagne di reparto arrivano più o meno a conclusione.
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