È arrivato il tempo dei padri che accudiscono

da , | Nov 27, 2024

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Viviamo in un periodo storico ambiguo. Da decenni ormai le donne in quasi tutti i Paesi occidentali hanno conquistato a pieno titolo l’accesso al mondo del lavoro e questa rivoluzione ha già modificato la struttura della famiglia. Sempre più padri sono coinvolti nell’accudimento dei figli e gli stereotipi di genere si avviano a tramontare.
Al tempo stesso, in Europa e negli Stati Uniti stanno guadagnando consenso movimenti e personaggi politici che promuovono un ideale di mascolinità competitiva e aggressiva e una rigida divisione dei ruoli tra uomini e donne, con queste ultime destinate “per natura” all’accudimento.
È in questo contesto che si leva la voce della sociobiologa statunitense Sarah Blaffer Hrdy, autrice di un saggio ponderoso e ben documentato dal titolo “Father time: a natural history of men and babies“, pubblicato a maggio scorso dalla Princeton University Press e più recentemente in Italiano da Bollati Boringhieri col titolo “Il tempo dei padri: l’istinto maschile nella cura dei figli”.

Questione di strategie

Non è vero che per natura i maschi sono sempre aggressivi e le femmine sempre accudenti, dice la Hrdy. Nel corso della storia evolutiva dei vertebrati e dei primati, compresi i nostri diretti antenati e anche oggi nel mondo animale, maschi e femmine hanno messo e mettono in atto diverse strategie per adattarsi alle condizioni ambientali e assicurare la sopravvivenza della prole, del gruppo e della specie. Talvolta un comportamento aggressivo nei confronti degli individui estranei è funzionale all’affermazione della discendenza di un maschio. Talvolta questo approccio è dannoso per il gruppo, come è accaduto ad alcune popolazioni di mammiferi in cui i maschi usano uccidere i cuccioli degli altri padri per avere accesso alle femmine e generare con loro figli propri, popolazioni che si sono avvicinate all’estinzione per avere reiterato troppo spesso la pratica.
In questi casi si è rivelata vincente una strategia maschile alternativa: rimanere accanto alla femmina durante la gravidanza e l’accudimento della cucciolata per scoraggiare gli attacchi degli estranei. E quel che succede quando il maschio è esposto assiduamente alla presenza dei cuccioli fin dalla nascita è stupefacente: l’assetto ormonale del padre muta, il suo livello di testosterone cala, mentre cresce la prolattina. Di pari passo cambia anche il comportamento del maschio, che risponde agli stimoli dei piccoli e li accudisce con lo stesso impegno della madre.

Lo stesso fenomeno nella nostra specie

Diversi studi dimostrano che anche nella specie umana la fisiologia maschile cambia quando il padre rimane a lungo a stretto contatto con figlie e figli piccoli, esposto alle loro richieste di accudimento.
Come in altre specie, il testosterone cala e aumenta la prolattina. È stato anche osservato un altro fenomeno. I padri che assistono le madri senza però impegnarsi personalmente nel ruolo di care giver primario, attivano le aree del cervello deputate al pensiero razionale e all’organizzazione. Quelli invece che si dedicano in prima persona all’accudimento e condividono alla pari con la madre il ruolo di care giver primario, attivano le aree limbiche del cervello, quelle più antiche e primitive. Lo stesso accade nelle famiglie monogenitoriali in cui è presente solo il padre e in quelle omogenitoriali con due padri.
In sostanza, il padre distaccato dalla prole non è più “naturale” di quello accudente. Il modello di paternità più adeguato dipende dal contesto socioculturale.
Il calo della concentrazione del testosterone favorisce comportamenti più collaborativi con tutti, non solo con i familiari, a beneficio del gruppo. E dal punto di vista evolutivo, un uomo più collaborativo e meno aggressivo è avvantaggiato, perché preferito dalla donna che vuole costruire una famiglia.
Per operare questo cambiamento è necessario che il neo-papà abbia il tempo per dedicarsi senza distrazioni al figlio o alla figlia appena nata. È evidente quanto sia importante in questo senso il ruolo del congedo di paternità.

Più vantaggi per tutti

Già nel primo anno di vita, il bambino o la bambina è in grado di percepire le intenzioni degli adulti di riferimento. I neuroni specchio aiutano i piccoli e le piccole a sviluppare l’empatia prendendo a modello chi li accudisce. La presenza di un padre coinvolto è preziosa per lo sviluppo delle loro competenze sociali.
Il padre stesso, come dimostrano diversi studi, trae dall’esperienza dell’accudimento gratificazione e fiducia nelle proprie capacità genitoriali e sviluppa un proprio personale stile di cura, che non scimmiotta quello materno.
Infine la madre non è solo alleggerita nelle sue incombenze quotidiane, ma trova anche sostegno nell’allattamento. È dimostrato che quando il padre è informato e motivato al riguardo, aumentano la probabilità di un corretto avvio dell’allattamento e la sua durata e migliora la capacità della madre di ottenere aiuto in caso di difficoltà.
La legittima aspirazione femminile a dividere equamente con il partner maschile la cura della famiglia non è quindi affatto in contrasto con la natura. Bambini e bambine hanno bisogno della mamma, ma ne hanno altrettanto del papà.
In conclusione, dice la Hrdy, “la base biologica che determina il comportamento di cura (o di non cura) nei maschi ha centinaia di milioni di anni”, ma per secoli la nostra società patriarcale ha preferito ignorare questa possibilità e prodotto ruoli di genere rigidi, decisamente vantaggiosi per gli uomini. Da questo deriva la necessità di ridefinire, oltre che la paternità, anche la maschilità in genere, compreso il concetto stesso di ‘virilità’.

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