Ribaltare il paradigma: il lavoro di cura è un impegno che riguarda tutti

da | Ago 3, 2023

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Oggi nella nostra società il lavoro di cura della casa, della famiglia, della prole, degli anziani e dei disabili è considerato un impegno di scarso valore. È un’occupazione spesso non retribuita o retribuita molto meno di tanti altri mestieri. Nelle famiglie se ne occupano per lo più le donne, gratuitamente, sacrificando così il tempo che potrebbero dedicare a una carriera che garantisca loro un ritorno economico e a discapito del loro prestigio sociale. Le famiglie che se lo possono permettere delegano queste incombenze a personale pagato, spesso femminile e in condizioni economiche e sociali meno avvantaggiate. Si genera così un circolo vizioso difficile da spezzare: il lavoro di cura, svalutato, è considerato appannaggio naturale della donna, che così vede il proprio ruolo sociale svalutato. Si rafforza quindi l’idea che spetti alla donna, socialmente meno rilevante, un lavoro di scarso valore come quello di cura.
Da decenni i movimenti per la parità di genere perseguono l’obiettivo di distribuire più equamente la cura della casa e della famiglia, così da garantire a uomini e donne pari opportunità di accesso al lavoro retribuito, all’indipendenza economica e al riconoscimento sociale. Un approccio promettente per accelerare il cambiamento è quello di ribaltare il paradigma e riconoscere che il lavoro di cura è in realtà un compito di grande valore, imprescindibile per il benessere dei singoli e della società, e che spetta per natura a tutti gli esseri umani.
È l’approccio adottato da Equimundo: Center for Masculinities and Social Justice, organizzazione internazionale che lavora di concerto con le Nazioni Unite e decine di enti per la promozione sociale di tutto il mondo. “La cura è ciò che ci rende umani. Prenderci cura l’uno dell’altro e delle nostre famiglie è la risorsa che ci ha consentito di sopravvivere come specie. È l’unica risorsa che ci permetterà di sopravvivere e prosperare tra le tante crisi che il nostro mondo sta affrontando”. Queste parole riassumono il messaggio dell’ultimo rapporto pubblicato da Equimundo, “State of the World’s Fathers: Centering care in a world in crisis”, che traccia una panoramica a livello mondiale della distribuzione tra i partner del lavoro di cura genitoriale, dell’importanza che l’opinione pubblica attribuisce a questo compito e formula alcune raccomandazioni per incoraggiare concretamente il cambiamento di paradigma.

Una panoramica mondiale

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ogni giorno nel mondo uomini e donne impegnano complessivamente 16 miliardi di ore nel lavoro non retribuito di cura della casa e della famiglia. L’incombenza poggia prevalentemente sulle spalle delle donne, che dedicano a questa attività da 3 a 7 volte il tempo che le dedicano gli uomini. La convinzione che questa distribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro sia giusta e “secondo natura” è ancora fortemente radicata in molte società. Un cambiamento si sta facendo strada, lentamente, un po’ ovunque, a partire dalla fascia della popolazione urbana economicamente e socialmente più avvantaggiata.
Gli autori del rapporto di Equimundo hanno sottoposto a un sondaggio online 12 mila persone provenienti da 17 Paesi di continenti e livelli di sviluppo economico differenti. Per le modalità con cui è stato selezionato, il campione è rappresentativo del ceto urbano con livelli di istruzione e disponibilità economiche più elevati. Anche in questo gruppo la ripartizione del lavoro di cura è risultata sbilanciata, ma con un divario inferiore rispetto alla popolazione generale: è emerso che in media le donne dedicano alla casa appena il 36% del tempo in più rispetto ai partner, all’accudimento fisico di bambini e bambine il 32% in più e alle attività di gioco e sostegno della prole il 26% in più dei padri.
Inoltre, a domande specifiche sulle convinzioni relative al lavoro di cura, la maggior parte delle donne e degli uomini interpellati ha risposto che è giusto condividere questo impegno in parti uguali, che una carriera professionale non impedisce a una donna di essere una buona madre e solo il 32% degli uomini e il 27% delle donne ha sostenuto che cambiare i pannolini, fare il bagnetto e dar da mangiare ai bambini è un compito prettamente femminile. I padri che hanno riferito di impegnarsi personalmente nella cura fisica ed emotiva della prole hanno espresso soddisfazione per il loro coinvolgimento nella vita familiare, una maggiore consapevolezza e capacità di esprimere le proprie emozioni.

I benefici delle cure paterne

La soddisfazione personale e il maggior equilibrio emotivo riferiti dai padri coinvolti in prima persona nella cura della prole trovano conferma nei risultati della ricerca scientifica. Come illustra il rapporto “Fatherhood and health outcomes in Europe”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2007, i padri che partecipano all’accudimento di figli e figlie e trascorrono tempo con loro arricchiscono il proprio patrimonio espressivo e comportamentale, sviluppano maggiore empatia e dichiarano di sentirsi più completi come persone. Inoltre tendono ad adottare stili di vita sani, a vantaggio della propria salute fisica e aspettativa di vita.
D’altro canto, bambini e bambine che fin dalla più tenera età hanno potuto beneficiare della partecipazione attiva dei padri nel loro accudimento e nella loro educazione sono meno soggetti durante la crescita e in età adulta a depressione, iperattività, aggressività, sviluppano maggiore autostima, competenze relazionali e ottengono punteggi più elevati ai test per valutare le funzioni cognitive.
Non tutti i partecipanti allo studio di Equimundo hanno riferito sentimenti positivi associati al lavoro di cura parentale. Una minoranza di padri e madri ha dichiarato di vivere con ansia, stress e preoccupazione il proprio ruolo, una condizione per lo più associata a difficoltà economiche e isolamento sociale: il lavoro di cura della famiglia pesa di più ai genitori che non possono condividerlo con altri familiari e a quelli che non possono permettersi di pagare un aiuto professionale, che si tratti di una baby sitter o della retta dell’asilo.
Manifestano stress anche padri e madri che hanno problemi a conciliare la cura della famiglia con il lavoro, soprattutto quelli provenienti da Paesi in cui non sono previsti congedi di maternità e paternità adeguatamente retribuiti o, se previsti, sono troppo brevi.

Le raccomandazioni per favorire il cambiamento

Appurato dunque che il progresso economico e sociale è associato a una maggiore consapevolezza dell’importanza del lavoro di cura e disponibilità da parte degli uomini a condividerlo con le partner, quali azioni concrete possono accelerare questo positivo cambiamento? Quali ostacoli devono essere rimossi?
Le raccomandazioni che concludono il rapporto di Equimundo riguardano diversi ambiti coinvolti nella questione. Innanzi tutto è necessario che i legislatori istituiscano congedi di maternità e paternità, di durata confrontabile e non trasferibili al partner, retribuiti in modo adeguato, così che per la famiglia le cure parentali non comportino una perdita economica significativa. In media gli uomini guadagnano più delle donne e se la coppia è costretta a sacrificare uno dei due stipendi per garantire cure alla prole, inevitabilmente la scelta cadrà su quello materno. Occorre poi provvedere assistenza di qualità a prezzi accessibili per bambini e bambine, a sostegno del lavoro di cura dei genitori. I servizi di assistenza sanitaria alla gravidanza devono moltiplicare gli sforzi per coinvolgere i futuri padri durante l’attesa, in occasione del parto e poi nel puerperio.
Aziende e datori di lavoro privati devono adottare politiche per favorire la conciliazione tra impiego e famiglia non solo per le dipendenti madri ma anche per i padri, perché il “problema della conciliazione” non riguarda solo le donne ma entrambi i genitori, consentendo orari flessibili, lavoro a distanza e combattendo con decisione le discriminazioni e il mobbing.
Bisogna promuovere il cambiamento a livello culturale con campagne di informazione e sensibilizzazione della popolazione generale e dei futuri genitori in particolare. Per sradicare gli stereotipi tossici, l’educazione all’empatia e al lavoro di cura deve iniziare a scuola, con quei programmi contro gli stereotipi di genere che oggi in Italia sono sempre più spesso sotto attacco di gruppi tradizionalisti. I produttori di giocattoli e i media devono proporre modelli positivi di uomini empatici e consapevoli delle proprie emozioni e di padri attenti, coinvolti e competenti nel lavoro di cura.
Infine bisogna portare avanti il lavoro di ricerca e valutazione, continuando a misurare il divario di genere nella cura della casa, della famiglia, degli anziani e dei disabili per rilevare i cambiamenti e programmare interventi efficaci. È necessario vigilare sui movimenti di opinione che mirano a rafforzare pregiudizi e stereotipi per contrastare l’equità di genere ed è altrettanto necessario contrastare gli effetti delle crisi economiche e sociali, che comportano sempre dei passi indietro sulla via del progresso.

Bibliografia

1. A. Sarkadi, R. Kristiansson et al, “Fathers’ involvement and children’s developmental outcomes: a systematic review of longitudinal studies”, Acta Paediatrica, 2007, DOI:10.1111/j.1651-2227.2007.00572.x

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