Ai maschi la competizione, alle femmine la cura: a scuola ancora troppi stereotipi di genere

da | Mar 12, 2024

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Gli stereotipi di genere condizionano le traiettorie educative delle nuove generazioni, poi quelle professionali, e infine riproducono se stessi nella società. La complessità di questo meccanismo di ricorrenza emerge con evidenza dai dati presentati a Roma il 29 febbraio scorso in occasione del XXI Convegno nazionale di AlmaDiploma, ente senza scopo di lucro che riunisce 240 istituti scolastici in tutta Italia e li sostiene nelle attività di orientamento degli studenti tra le diverse offerte formative della scuola superiore e poi verso l’Università o il mondo del lavoro.
Ogni anno, AlmaDiploma, in collaborazione con il Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, pubblica un rapporto sulle scelte di indirizzo di studenti e studentesse che escono dalla scuola secondaria di primo grado e poi da quella di secondo grado, sulla soddisfazione riguardo alle scelte fatte e sulla situazione accademica o lavorativa a un anno e a tre anni dal diploma.

Le differenze di genere pesano ancora molto: lo dicono i dati

Tra i dati pubblicati, particolarmente interessanti sono quelli che riguardano le differenze di genere nel percorso scolastico, in quello accademico e in seguito nell’approccio al mondo del lavoro, illustrati al convegno da Elisa Giusti, docente di scuola superiore e membro del consiglio direttivo di AlmaDiploma.

«Su un campione di oltre 28mila diplomate e diplomati intervistati, la percentuale delle ragazze che hanno concluso gli studi superiori è risultata leggermente superiore a quella dei ragazzi, pari al 52,6%», ha spiegato Giusti. «La presenza femminile è maggiore nei licei, con un 62,8% di studentesse, e negli istituti professionali, con un 56,3%. Inferiore a quella maschile invece negli istituti tecnico-scientifici, con una percentuale di studentesse del 35,6%. Nel corso della carriera scolastica, le studentesse si mostrano in media più impegnate dei compagni maschi: il 37,3% delle ragazze contro il 16,1% dei ragazzi dedica allo studio più di 15 ore settimanali».

Passando alle attività extrascolastiche, le femmine si dedicano in maggioranza allo studio delle lingue, anche con soggiorni all’estero, alle attività culturali e a quelle di volontariato, mentre i maschi si dedicano in maggioranza allo sport, agli stage e alle esperienze lavorative.
Le differenze continuano all’Università: «Superato il traguardo del diploma, manifesta l’intenzione di proseguire gli studi l’81% delle giovani contro il 64% dei maschi. A un anno di distanza, risulta effettivamente iscritto all’università il 76,3% delle diplomate contro il 62% dei diplomati. All’Università i settori in cui è preponderante la presenza femminile sono quelli dell’educazione e della formazione, della linguistica, medicina e farmacia. La presenza maschile è preponderante nei settori dell’ingegneria industriale, dell’informatica e dell’economia. Tra coloro che sono entrati nel mondo del lavoro, le donne manifestano una minore propensione alle trasferte e maggiore disponibilità al part time rispetto ai colleghi maschi. A tre anni dal diploma, i contratti a tempo determinato, il part time e il lavoro in assenza di contratto sono più diffusi tra le lavoratrici rispetto ai colleghi maschi, che godono di una maggiore percentuale di contratti a tempo indeterminato. La retribuzione media mensile per le lavoratrici impiegate a tempo pieno a 3 anni dal diploma è pari a 1323 euro, contro i 1483 euro dello stipendio mensile medio maschile».

Sono tutti dati che calzano a pennello con la rappresentazione stereotipata dei due generi: le ragazze più tranquille, studiose e sedentarie dei maschi, dedite al volontariato e alla cura degli altri, mentre i coetanei si dedicano maggiormente alla competizione sportiva e sono già proiettati verso la futura realizzazione professionale. L’educazione e l’assistenza alla salute sono ambiti prevalentemente femminili, contro le discipline STEM appannaggio maschile. Infine, una maggiore stabilità lavorativa e compensi più elevati per gli uomini, rispetto all’instabilità di contratti e condizioni di impiego per le donne, in vista del loro ruolo di madri e caregiver della famiglia.

Bisogna spezzare il circolo vizioso degli stereotipi di genere

«Per ottenere un cambiamento importante a livello culturale e sociale, bisogna intervenire a diversi livelli», ha osservato Angela Giusti, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile del coordinamento scientifico del progetto 4e-parent, che ha preso parte al convegno con un intervento su questa specifica questione. «Bisogna decostruire gli stereotipi nelle scuole di ogni ordine e grado, per sostenere scelte di vita autonome dei giovani di ambo i sessi. È fondamentale, poi, promuovere l’istituzione di congedi parentali per i padri, perché possano partecipare alla cura di figli e figlie, con benefici documentati per tutti, e al tempo stesso liberare le partner dal ruolo stereotipato di caregiver designate, permettendo loro di dedicare più tempo al lavoro retribuito per migliorare la loro posizione professionale e superare il gender gap economico».

Angela Giusti ha evidenziato poi quanto l’educazione scolastica influisca sulla salute pubblica, attivando una serie di meccanismi a catena: «I genitori che hanno un titolo di studio più elevato, sia padri che madri, sono più propensi a leggere ad alta voce al loro bambini e bambine fin dai primi mesi di vita e l’esposizione precoce alla lettura produce dei benefici in termini di salute mentale», ha spiegato. «Inoltre, le madri che hanno un titolo di studio più elevato e un lavoro retribuito sono più propense ad allattare, una pratica che comporta innegabili benefici di salute. Sono ragioni in più per impegnarsi con interventi costruttivi nel settore dell’istruzione».

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