Genitori davvero alla pari: ecco l’uovo di colombo per promuovere la natalità

da | Giu 17, 2024

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“Dall’anno dell’Unità d’Italia non sono mai nati così pochi bambini nel nostro Paese: appena 379 mila nel 2023! I giovani diminuiscono, aumentano gli anziani e il nostro sistema economico è in pericolo!”, sono gli slogan lanciati a Roma il 9 maggio scorso all’apertura degli Stati Generali della Natalità, evento organizzato dalla Fondazione per la Natalità, associazione legata al Forum delle Famiglie.

Per arginare il calo demografico, politici, giornalisti e dirigenti d’azienda che si sono alternati davanti alla platea nelle due giornate dell’incontro hanno proposto contributi economici per le famiglie numerose e misure per consentire alle mamme di conciliare il lavoro fuori casa con quello domestico e la cura della famiglia, perché, come ha specificato Luigi De Paolo, presidente della Fondazione per la Natalità, «non diciamo che le donne devono stare a casa e occuparsi dei figli. Hanno tutto il diritto di realizzarsi anche dal punto di vista professionale, ma devono essere messe nelle condizioni di conciliarlo con gli impegni domestici».

Pochissime voci sul palco degli Stati Generali della Natalità, come del resto sulla scena politica italiana, hanno citato i padri, l’opportunità del loro coinvolgimento nella cura di figli e figlie, di una equa ripartizione del lavoro domestico tra loro e le madri e di misure per la conciliazione tra lavoro e famiglia che riguardino anche gli uomini.

 

L’elefante nella stanza: il carico di lavoro femminile

 

La natalità in Italia è in calo per diverse ragioni. Da decenni nei Paesi economicamente avvantaggiati, tra cui il nostro, è in atto una transizione demografica da un regime con molte nascite e molti decessi a uno con poche nascite e pochi decessi: la durata della vita media si allunga e di pari passo cala la natalità. C’è quindi una tendenza generale a una diminuzione delle nascite nelle società più ricche in cui sono disponibili mezzi contraccettivi moderni, le donne hanno accesso all’istruzione e al mercato del lavoro e l’attesa di vita alla nascita è elevata. Oltre a questo fattore fisiologico comune a diversi Paesi, la denatalità in Italia è accentuata da una carenza strutturale di servizi per le famiglie, per esempio di nidi e scuole per l’infanzia di buona qualità gratuiti o a prezzi sostenibili.

C’è poi un’altra ragione per cui le donne sono scoraggiate dal proposito della maternità, una ragione che fa la parte dell’elefante nella stanza, tanto evidente a tutti quanto trascurata: il carico di lavoro femminile. Il nostro Paese è ancora caratterizzato da una prevalenza del modello di famiglia in cui il lavoro domestico e la cura di figli e figlie gravano per la maggior parte sulla partner femminile e la divisione disuguale del carico di lavoro ha un impatto negativo sulle intenzioni di fecondità.

Uno studio del 2023, ultimo di una serie di ricerche con risultati analoghi, evidenzia che all’aumentare del carico di lavoro femminile si riducono in modo significativo le intenzioni di avere il primo figlio per le donne senza figli.

I padri chiedono di esserci

Lo scorso 8 marzo nell’ambito dell’iniziativa Obiettivo5, il campus di formazione per l’equità e l’inclusione organizzato dal Corriere della Sera e dall’Università La Sapienza di Roma, sono stati presentati i risultati di un sondaggio sulle aspettative riguardo la genitorialità condotto tra studenti e studentesse dell’ateneo.

Alla domanda “se pensi a te come genitore, che cosa ti preoccupa di più?”, accanto al timore di non avere abbastanza soldi per mantenere un figlio o una figlia e all’incertezza delle prospettive future, il 54% delle giovani e il 47% dei giovani interpellati ha manifestato la preoccupazione di non riuscire a trovare un lavoro che si concili col ruolo genitoriale. Inoltre, l’86% delle studentesse coinvolte ha dichiarato di ritenere difficile o molto difficile per una donna realizzarsi sia dal punto di vista professionale che da quello familiare.

«Da questi dati traspare un fortissimo desiderio dei giovani uomini, potenziali futuri padri, di esserci nella vita dei propri figli e figlie, di avere tempo da passare con loro», ha commentato la sociologa Annina Lubbock coinvolta nel progetto 4e-parent e intervenuta all’incontro, «un desiderio che oggi è difficile soddisfare a causa della prevalente cultura del lavoro per cui la donna prende i congedi di maternità e i congedi parentali, mentre l’uomo deve rimanere inchiodato al suo posto. Uno dei timori delle giovani donne quando pensano alla prospettiva della maternità è di non poter fare affidamento sulla condivisione del carico di lavoro con i partner, ma non perché gli uomini siano mal disposti nei confronti della paternità, piuttosto a causa della fortissima pressione che ricevono sul lavoro. In Italia alcune grandi aziende si stanno muovendo nella giusta direzione, garantendo ai loro dipendenti padri congedi generosi, mentre l’organizzazione delle piccole e medie imprese, che rappresentano il modello di azienda più diffuso nel nostro Paese, è ancora problematica da questo punto di vista».

Genitori alla pari, cure da condividere

Tornando agli slogan degli Stati Generali della Natalità, la ragione principale per cui oggi si invocano pubblicamente misure per incrementare le nascite in Italia è il timore che nei prossimi decenni lo sbilanciamento tra il numero di giovani contribuenti e quello delle persone anziane che usufruiscono della pensione porti al collasso il sistema previdenziale.

«È molto in voga la narrazione che vede le donne come risorse demografiche, fabbriche di nuovi contribuenti, per sostenere il sistema previdenziale e garantire il benessere economico futuro», si legge nel saggio Genitori alla pari (Feltrinelli, 2024) della demografa Alessandra Minello e dell’economista Tommaso Nannicini. «Difficilmente si troveranno coppie disposte a mettere al mondo un figlio per il bene della patria. Sappiamo, però, che nel nostro Paese le coppie non vengono messe nelle condizioni di appagare il loro desiderio di genitorialità ed è, invece, questo l’obiettivo al cui raggiungimento lo Stato dovrebbe ambire a contribuire, mettendo così al primo posto il benessere delle cittadine e dei cittadini».

In che modo favorire efficacemente la realizzazione del desiderio di genitorialità delle coppie? La soluzione prospettata nel saggio non è la conciliazione, ma la condivisione. «Conciliare significa tenere insieme il lavoro retribuito e quello di cura, ma facendo cadere la responsabilità del secondo solo sulle donne. Conciliare mette le madri al centro della responsabilità di gestire il benessere delle famiglie», prosegue il libro. «Condividere significa attribuire ai padri un ruolo attivo. Significa essere disposti in maniera paritaria alla cura. Ma la questione culturale non si risolvere senza sciogliere i nodi strutturali. Dobbiamo mettere in campo politiche che favoriscano il riequilibrio dei divari di genere, cambiando lo stato sociale e i modelli di organizzazione del lavoro. Questa rivoluzione ha bisogno di molteplici strumenti, al cuore dei quali si trova una pietra angolare: congedi di genitorialità perfettamente paritari, integrati con politiche fiscali e dei servizi che facciano sì che sia paritario anche il loro utilizzo concreto».

 

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