In che modo i papà dovrebbero impiegare il tempo dedicato al congedo? Se ne è discusso in Italia dopo una sentenza che ha reintegrato un papà licenziato perché nella giornata di congedo si era dedicato a fare la spesa. Ma anche in Svezia, si discute se concedere più flessibilità alle famiglie nell’organizzazione dei tempi, oppure regolamentare in modo più restrittivo i congedi per indirizzare le coppie verso una maggiore condivisione del lavoro di cura.
Nel 2022, un uomo di Perugia, padre di una bimba di 2 anni, chiese e ottenne tre giorni di congedo parentale dall’azienda per cui lavorava. A seguito di indagini, il datore di lavoro scoprì che in quei tre giorni il dipendente, dopo avere accompagnato la figlia all’asilo, aveva fatto la spesa al supermercato e poi aveva trascorso il resto della giornata a casa. Quindi lo licenziò, obiettando che aveva usato in modo inappropriato il tempo del congedo. La notizia recente è che il giudice del lavoro di Perugia ha condannato l’azienda a reintegrare il dipendente licenziato e a disporre il pagamento delle mensilità perse e dei contributi, perché evidentemente il congedo serve a consentire ai padri di condividere tutte le incombenze della vita domestica, compresa la spesa al supermercato e la cura della casa mentre la figlia è all’asilo.
L’episodio è paradossale, ma tocca una questione che è oggetto di discussione anche nell’avanzatissima Svezia, dove l’astensione retribuita a disposizione dei padri esiste da 50 anni: in che modo i papà dovrebbero impiegare il tempo del congedo? È più proficuo che trascorrano un periodo prolungato a casa, a prendersi cura della prole al posto della madre che torna al lavoro, per acquisire competenze genitoriali in autonomia? Oppure che rimangano a casa in contemporanea con la partner, per accudire insieme il figlio o la figlia? Bisogna consentire la massima libertà di organizzazione alla coppia e alla famiglia, oppure indirizzarne le scelte obbligando i genitori a dividere in parti uguali la durata del congedo?
Una lunga storia di parità di genere
In Svezia è dal 1974 che i padri possono usufruire di un congedo parentale adeguatamente retribuito e nel corso dei decenni è progressivamente aumentato il numero di giorni di astensione dal lavoro a disposizione di entrambi i genitori. Oggi sono complessivamente 480 giorni, di cui 90 destinati in esclusiva alla madre, 90 al padre e i rimanenti utilizzabili a discrezione della coppia. I due partner possono usufruire in contemporanea di 30 giorni. Nonostante le condizioni favorevoli, però, tuttora in media le madri si assentano dal lavoro più a lungo dei padri e a livello politico si discute se concedere più flessibilità alle famiglie nell’organizzazione dei tempi oppure regolamentare in modo più restrittivo i congedi per indirizzare le coppie verso una maggiore condivisione del lavoro di cura.
«I Paesi del nord Europa hanno una lunga tradizione di parità di genere, che in Svezia è stata assecondata e favorita nel corso del tempo dai decisori politici con misure di welfare come il congedo parentale, servizi educativi economicamente accessibili, facilitazioni fiscali ed economiche per le famiglie numerose», osserva Alessandro Volta, pediatra della AUSL di Reggio Emilia. «Seppure i padri svedesi non condividono al 50% il congedo con le partner, parliamo comunque di percentuali elevate. Una situazione ben diversa da quella italiana, dove la percentuale di padri che usufruiscono del congedo parentale è molto bassa e gli stereotipi sulla divisione del lavoro in famiglia sono ancora fortemente radicati. Qui da noi c’è ancora molto lavoro da fare: per esempio, aumentare la retribuzione del genitore che si assenta dal lavoro, che al momento in Italia è appena del 30%, e poi offrire più servizi educativi di qualità a prezzi non proibitivi, prevedere delle facilitazioni economiche e fiscali per le famiglie con figli. Detto questo, credo che in Svezia, come pure in buona misura nel nostro Paese, si debba lasciare alle coppie la libertà di organizzarsi in funzione delle loro risorse, delle esigenze, delle condizioni lavorative di ciascun partner». (Per altre riflessioni sulle differenze tra l’Italia e Paesi europei, puoi ascoltare anche questo podcast).
Tanti fattori in gioco nella questione dei congedi parentali
«Quando pensiamo ai congedi parentali, abbiamo in mente come modello il congedo di maternità, che in Italia è obbligatorio e dura cinque mesi, da utilizzare senza interruzioni intorno al parto», prosegue Volta. «È utile garantire un periodo ininterrotto di astensione dal lavoro anche ai padri nella fase perinatale, quando la partner ha più bisogno della loro presenza per condividere l’accudimento. Col passare dei mesi, superato il momento più impegnativo, bisogna tener conto delle specifiche esigenze e delle risorse di cui dispone ogni famiglia. Ci sono i genitori che possono far ricorso all’assistenza di nonni e nonne (ascolta il podcast: “Nonna e nonno si raccontano), quelli che hanno accesso a una buona struttura per l’infanzia e chi invece non può contare su nessun aiuto. Ci sono occupazioni per cui bisogna stare fuori casa tutto il giorno, altre che consentono al padre e alla madre di alternarsi nelle cure parentali organizzando opportunamente i turni di lavoro. Per una madre continuare ad allattare alla ripresa del lavoro è difficile, ma a volte è fattibile, per esempio se lavora in un’azienda a conduzione familiare e può portare con sé il bambino o la bambina oppure dispone di un nido aziendale. Ci sono poi alcune professioni per cui prendere un congedo prolungato è un problema, anche in Svezia dove il congedo è ben retribuito, per esempio nei posti dove l’assenza rischia di far perdere clienti al genitore lavoratore. Ecco perché ritengo che i congedi debbano essere strumenti flessibili e si debba lasciare ogni famiglia libera di utilizzarli in funzione della propria situazione».
Imparare a fare squadra tra mamma e papà
Il papà che va a fare la spesa al supermercato o passa l’aspirapolvere in casa mentre il bambino o la bambina è con la mamma oppure all’asilo, sta collaborando alla gestione della vita familiare, uno degli obiettivi a cui mirano i congedi di paternità. «Sicuramente è importante che i padri facciano esperienza diretta di accudimento in autonomia, per sviluppare le proprie competenze genitoriali», dice Volta, “ma non è necessario che interagiscano in ogni momento con il figlio o la figlia, così come la madre in congedo nel corso della giornata si occupa di diverse incombenze. Ecco perché l’obiezione mossa al lavoratore di Perugia non era corretta. Inoltre, credo sia anche utile che madre e padre prendano contemporaneamente un periodo di congedo: così si affina la loro collaborazione, si costruisce il gioco di squadra e si rafforza l’alleanza genitoriale. La madre che rimane da sola a casa con il bimbo o la bimba tutto il giorno, senza avere contatti con altri adulti, corre un maggior rischio di depressione post partum e di burn out. Dettare in modo troppo rigido le regole di utilizzo dei congedi parentali è controproducente. Bisogna lavorare anche a livello culturale».
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