La ripartizione del lavoro domestico: al cuore della disuguaglianza di genere

da | Lug 6, 2023

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A fronte di un minimo aumento della durata del congedo obbligatorio di paternità, che nel 2022 è stato portato a 10 giorni, in Italia la cura della famiglia e della casa continua a gravare prevalentemente sulle spalle delle donne. Secondo l’ultimo rapporto sull’argomento pubblicato dall’Istat, nel nostro Paese le donne di età compresa tra 20 e 74 anni dedicano in media 5 ore e 9 minuti al giorno ai lavori domestici non retribuiti. Gli uomini 2 ore e 16 minuti al giorno. Questa disparità condiziona pesantemente ogni aspetto della vita femminile: le relazioni sociali, la realizzazione professionale, l’indipendenza economica e i rapporti di potere all’interno della coppia e della famiglia.
Un progresso c’è, estremamente lento, ma misurabile. Passa attraverso l’impegno dei giovani padri coinvolti nella cura di figli e figlie, e attraverso la trasmissione di modelli culturali più equi alle nuove generazioni.

Il lavoro invisibile

Quando si parla di lavoro, di solito si intende quello retribuito, cioè quello di chi produce beni e servizi in cambio di un compenso economico. In ambito economico, solo da pochi anni si dedica maggiore attenzione al lavoro domestico non retribuito, cioè alla pulizia e manutenzione della casa, alla preparazione dei pasti, all’assistenza ai membri più fragili della famiglia come la prole minorenne, le persone anziane o quelle con disabilità. Per il rapporto dell’Istat, “un pasto da consumare e un alloggio in buone condizioni igieniche sono beni non comprimibili per la famiglia” e se non fossero i suoi stessi membri a occuparsi gratuitamente di queste incombenze, la famiglia dovrebbe far ricorso a personale retribuito. Il lavoro domestico, quindi, ha un suo valore economico, tradizionalmente sempre ignorato.
Portare alla luce il lavoro invisibile permette di sommarlo a quello retribuito e valutare in modo realistico la suddivisione dei carichi nella famiglia. Secondo l’ultima rilevazione effettuata nel 2014, in Italia il 20,8% delle coppie si conforma al modello tradizionale in cui l’uomo è l’unico a svolgere lavoro retribuito, mentre la donna si occupa esclusivamente della cura della casa e della famiglia. Nel 20,4% delle coppie entrambi hanno un impiego a tempo pieno retribuito, nel 9,5% lui ha un lavoro retribuito a tempo pieno e lei un part time, nel 7,3% l’unica a svolgere lavoro retribuito è la donna. Ci sono poi le coppie di persone anziane in pensione e quelle in cui nessuno dei due partner ha un’occupazione retribuita. Misurando i carichi di lavoro totale nelle coppie di ciascun tipo si scopre che il modello più equilibrato quanto al numero medio di ore di lavoro quotidiane è quello tradizionale, che però è svantaggioso per la componente femminile per altri aspetti. Nelle situazioni in cui anche o solo la donna svolge lavoro retribuito, si registrano squilibri più o meno forti nel carico di lavoro complessivo, che sono massimi nelle coppie in cui la partner femminile è l’unica a percepire uno stipendio e in media si sobbarca anche più di metà del lavoro domestico. Questa evidente disuguaglianza è dovuta, secondo il rapporto dell’Istat, in parte alla resistenza degli uomini a condividere pienamente i carichi di lavoro familiare e in parte alla difficoltà delle donne ad abbandonare il ruolo di principale responsabile della cura di casa e famiglia.

Una disuguaglianza che genera handicap economico e sociale

Nelle coppie organizzate secondo il modello tradizionale che prevede una netta separazione dei ruoli, il carico di lavoro per la donna che si occupa della casa e della famiglia è solo leggermente superiore a quello retribuito dell’uomo, con una differenza media di appena sette minuti. A fronte di questo maggiore equilibrio nella ripartizione degli impegni, la donna risulta fortemente svantaggiata dal punto di vista economico, perché si trova ad essere del tutto dipendente dal partner per le sue necessità, e dal punto di vista sociale, a causa dello scarso valore attribuito dalla nostra società al lavoro domestico.
Per la donna che svolge un’occupazione retribuita, il maggior carico di impegni familiari è un handicap che la rende meno appetibile per il mercato: la necessità di conciliare lavoro e famiglia è considerato un problema prettamente femminile.
Ecco quindi che nella fascia d’età tra i 25 e i 44 anni l’occupazione retribuita femminile massima si registra tra le donne che vivono da sole, con una differenza di genere trascurabile. Col passaggio a una relazione di coppia senza prole, il tasso di occupazione femminile scende di 8,2 punti percentuali, mentre quello maschile sale di 7,6 punti percentuali, con una differenza di genere di 17,5 punti percentuali. Nelle coppie con prole il tasso medio di occupazione maschile non cambia rispetto alle coppie senza, mentre quello femminile cala drasticamente, portando il divario di genere a 33,1 punti percentuali. Detto in altre parole, sono tante le donne che lasciano il lavoro all’avvio di una relazione di coppia per occuparsi in esclusiva della casa e della famiglia e ancora di più sono quelle costrette a fare questo passo con la maternità.
Va detto poi che una donna lavoratrice su tre quando diventa madre passa da un’occupazione a tempo pieno al part time, scelta motivata nella maggior parte dei casi dalla mancanza di tempo per accudire la prole o altri membri della famiglia non autosufficienti. Un lavoro part time implica minori entrate, una perdita almeno parziale dell’indipendenza economica, minori possibilità di fare carriera e migliorare la propria posizione e si traduce nel tempo in una pensione più bassa. Non stupisce il fatto che solo il 25% degli imprenditori e solo il 27% dei dirigenti in Italia sia donna. In caso di rottura della relazione, poi, l’uomo si trova in una posizione lavorativa vantaggiosa rispetto alla ex partner: ha accumulato più esperienza, fatto più carriera, maturato una pensione più ricca.

Una questione culturale

Offrire alle famiglie servizi di qualità a prezzi accessibili per la cura di minorenni, persone anziane e con disabilità e strumenti per agevolare la conciliazione tra lavoro retribuito e incombenze domestiche di certo aiuterebbe a migliorare la situazione, ma occorre soprattutto un profondo cambiamento culturale per superare il divario di genere nella distribuzione del lavoro: bisogna infrangere stereotipi ancora dominanti nella nostra società, sia tra gli uomini che tra le donne.
Secondo i risultati di un sondaggio pubblicati nel rapporto dell’Istat, il 54,1% degli intervistati di sesso maschile dichiara che per la famiglia è meglio che l’uomo si dedichi prevalentemente alle necessità economiche e la donna alla cura della casa. Il 53,7% ritiene di non essere in grado di svolgere i lavori domestici bene come le donne. Il 31,9% reputa che non sia giusto dividere a metà le incombenze domestiche anche se entrambi hanno un’occupazione retribuita a tempo pieno. Il 23,1% pensa che in caso di malattia di un figlio spetti alla madre assentarsi dal lavoro per assisterlo. Il 43,2% dichiara che il padre è meno capace della madre di prendersi cura dei figli piccoli.
Le risposte delle donne intervistate non si discostano da questa linea: il 46,6% giudica positivamente il modello in cui l’uomo lavora fuori casa e la partner si occupa della cura di casa e famiglia, il 25,3% ritiene che non sia giusto dividere alla pari il lavoro domestico anche se entrambi i partner hanno un’occupazione retribuita a tempo pieno, il 20,6% pensa che spetti alla madre assentarsi dal lavoro per assistere un figlio ammalato, il 44% sostiene che il padre è meno capace della madre di occuparsi della cura di figli e figlie e il 58,8% pensa che gli uomini siano meno capaci delle donne di occuparsi della casa e della famiglia. La cultura alla base del divario di genere è introiettata dalle stesse donne.
Gli stereotipi si fanno più deboli al crescere del livello di istruzione. Solo il 38,7% dei laureati e il 25,8% delle laureate è favorevole al modello tradizionale di famiglia con una separazione netta tra i ruoli. Il 76,4% dei laureati e l’82,4% delle laureate concordano sull’opportunità di dividere alla pari il lavoro di cura della casa e della famiglia. Tra i laureati, l’82,8% degli uomini e l’85,6% delle donne ritiene che sia giusto assentarsi a turno dal lavoro per assistere un figlio ammalato. Infine, il 64,7% degli uomini e il 68,3% delle donne sostiene che i padri sono altrettanto capaci delle madri di occuparsi della cura dei figli.
Un fattore determinante nel perpetuarsi delle disuguaglianze è la trasmissione generazionale degli stereotipi. Fino agli 11 anni di età, bambini e bambine partecipano alla vita di famiglia con piccoli lavoretti, come ordinare i giocattoli o apparecchiare la tavola senza differenze di genere. Dopo gli 11 anni, il contributo chiesto alle ragazze cresce rapidamente rispetto a quello richiesto ai figli maschi. All’aumentare del tasso di scolarizzazione della madre, si riduce la differenza tra figli e figlie nella partecipazione al lavoro di cura della casa e della famiglia. Inoltre, il divario di genere nella divisione del lavoro domestico tra figli e figlie è inferiore se la madre ha un lavoro retribuito rispetto alle famiglie in cui la madre si dedica in esclusiva al lavoro di cura non retribuito.

Il cambiamento passa per i giovani padri

Il tempo erode gli stereotipi e, seppur lentamente, il divario di genere si sta progressivamente riducendo anche in Italia. Secondo i dati dell’ISTAT, tra il 2002 e il 2008 gli uomini in coppia hanno aumentato in media il loro impegno quotidiano nel lavoro domestico di un minuto ogni anno. Tra il 2008 e il 2014 è stata rilevata una accelerazione del processo: il tempo dedicato quotidianamente dagli uomini alla cura di casa e famiglia è aumentato di due minuti e mezzo all’anno.
L’ambito in cui i partner maschili sembrano più propensi a collaborare è quello della cura dei figli minorenni, di cui si occupa quotidianamente il 46,8% dei padri a fronte del 73% delle madri. Tra coloro che se ne occupano ogni giorno, i padri trascorrono quotidianamente con i figli in media un’ora e 20 minuti, le madri un’ora e 44 minuti: il divario è molto più contenuto di quello relativo al tempo dedicato alla cura della casa. Sono positive anche le rilevazioni dell’Istat sul ricorso al congedo parentale facoltativo da parte dei padri. La percentuale di quelli che ne hanno usufruito è aumentata dal 15 al 21% tra il 2015 e il 2019. È sulla paternità consapevole, probabilmente, che si gioca la carta del cambiamento.

Bibliografia

Rapporto ISTAT 2019, “I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo”,

CENSIS, “56° Rapporto sulla situazione sociale del Paese”, 2022

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