«È come se ti avessero messo una pentola in testa e avessero cominciato a suonarci la batteria». Così descrive la paternità una delle voci narranti del documentario Papà ha bruciato i biscotti, realizzato e prodotto dal giornalista e regista Jeffrey Zani. Poche parole bastano a trasmettere in modo efficace lo sbigottimento di chi viveva una quotidianità familiare che tutto a un tratto viene travolta dall’arrivo di un bambino o di una bambina. Una piccola persona che prima non c’era sbuca dal nulla, richiede accudimento ininterrotto 24 ore su 24 e responsabilità assoluta, si esprime spesso in modo incomprensibile, agisce in modo imprevedibile, tiene svegli la notte.
Il senso di smarrimento per il repentino cambiamento di ruolo e di abitudini è lo stesso che vivono tante nuove mamme, nonostante abbiano avuto nove mesi di tempo per prepararsi anche fisicamente all’idea. La novità qui sta nel fatto che a percepirlo e a manifestarlo siano dei padri: è il sintomo di un cambiamento che si fa sempre più strada nella nostra società. Il buon padre modello del secolo scorso aveva la responsabilità di mantenere la famiglia, ma raramente era coinvolto nell’accudimento di bimbe e bimbi piccoli. Non aveva modo di sperimentare l’impegno fisico e psicologico richiesto da questo compito. All’epoca la realizzazione di un documentario come questo sarebbe stata impensabile. Quella dei nuovi padri accudenti è una realtà ormai diffusa e anche le loro istanze trovano voce.
Una rappresentazione edulcorata che non prepara alla realtà
Il documentario si apre con una piccola finestra al centro dello schermo nero che mostra scene di un filmino retrò: bambini che ridono e giocano sul prato di una villetta, un papà sereno e sorridente che intrattiene il suo piccolo, che taglia una torta di compleanno, una festa in famiglia. La voce fuori campo di uno psicologo britannico spiega che quelle immagini edulcorate non rendono giustizia alla realtà vissuta ogni giorno da tanti padri.
Rappresentare la paternità come un compito facile, istintivo, senza accogliere le ombre e le insicurezze che comporta, può generare sensi di colpa e inadeguatezza. Il disagio provato da tanti neo padri nei primi mesi di vita di figli e figlie può sfociare nel corrispondente maschile della depressione post partum. Capita al 10% dei padri. Il 16% soffre di manifestazioni di ansia. E, pur senza arrivare alla patologia, tanti si sentono sopraffatti dalla stanchezza e dalla responsabilità.
«Ho sentito la necessità di parlarne, perché è qualcosa che si scopre solo nel momento in cui ci si trova a viverlo», commenta l’autore Jeffrey Zani, che è partito dalla sua esperienza personale per coinvolgere le voci di altri testimoni, neo padri e psicologi. «Negli incontri per la preparazione alla nascita nessuno avverte i futuri padri. Non hai il coraggio di confrontarti con familiari e amici perché ti senti sbagliato, diverso. Non ne parli con la tua partner per non caricarla di un peso ulteriore, sapendo quanto a sua volta è impegnata nelle cure. Vuoi fare una ricerca in rete e non sai quali parole chiave usare, perché non possiedi neppure un vocabolario adeguato per descrivere quello che stai vivendo».
La solitudine è forse lo scoglio maggiore in cui si imbatte il neo papà che vive con disagio la novità del suo ruolo. «L’ho rappresentata nel documentario con lo schermo nero che separa le testimonianze, come fossero tanti puntini scollegati tra loro», spiega Zani.
L’isolamento è accentuato dallo stigma di cui è oggetto nel sentire comune l’uomo che manifesta la sua fragilità. Il padre tradizionale è una figura infrangibile, che non soccombe alla stanchezza, al dubbio o al senso di inadeguatezza. L’idea che l’uomo non possa manifestare queste debolezze è ancora molto radicata nella nostra cultura. A questo pregiudizio si aggiunge luogo comune che il neo papà, proprio come la neo mamma, dovrebbe essere felice perché ha realizzato il proprio desiderio di genitorialità o, quanto meno, non dovrebbe lamentarsi delle conseguenze di una sua scelta consapevole.
«L’uomo tende a reagire allo stress con lo scatto di rabbia, l’urlo, il gesto, trova rifugio nel fumo, nello sport praticato in modo compulsivo, nel lavoro come scusa per allontanarsi, nel tradimento», osserva nel documentario Franco Baldoni, professore di Psicologia Clinica dell’Università di Bologna. «Difficilmente chiede aiuto a un professionista».
È proprio questo, invece, l’obiettivo di “Papà ha bruciato i biscotti”: dare voce al disagio, renderlo visibile, così che altri padri capiscano di non essere soli e trovino la forza di chiedere aiuto.
La diffusione del documentario
La realizzazione dei 55 minuti di documentario ha richiesto 3-4 anni, per la difficoltà di reperire testimoni disposti a raccontare le loro storie, esperti con specifiche competenze, di riprendere scene spontanee di vita domestica, con le ulteriori limitazioni imposte durante la pandemia. Ora che è stato finalmente completato, dovrà trovare i giusti canali di distribuzione. Il trailer è già a disposizione online.
Dopo avere partecipato ad alcuni festival nel corso degli ultimi mesi, l’autore sta ora organizzando proiezioni rivolte a operatori del settore, i primi a dover essere sensibilizzati per raggiungere un pubblico più ampio.
Il prossimo 9 ottobre il film verrà mostrato a Bologna durante una matinée organizzato dal Coordinamento Centri per le famiglie Emilia – Romagna – Area Infanzia e Adolescenza, pari opportunità, terzo settore – Settore Politiche sociali, di inclusione e pari opportunità. Sono stati invitati ad assistere i referenti di 42 centri per le famiglie.
Una seconda proiezione è prevista per il 16 ottobre a Torino, nella sede dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte e nell’ambito di un evento curato in collaborazione con SSD Psicologia Clinica e Neonatologia Universitaria del P.O.S. Anna di Torino, in programma dalle ore 16:30 alle 20:30.
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