Estendere i congedi per i padri: l’occasione perduta della Legge di Bilancio 2025

Portare avanti una proposta che possa contribuire a modificare l’attuale normativa che regola i congedi di paternità e quelli, cosiddetti, parentali (che preferiamo definire genitoriali per una migliore comprensione dei ruoli che si intendono coinvolgere), è tra gli obiettivi di 4e-parent. Per questo il progetto ha mobilitato la società civile con un’iniziativa che è riuscita ad avviare un percorso che ha portato a condividere sia con i parlamentari della maggioranza che con quelli dell’opposizione delle proposte di emendamenti alla Legge di Bilancio 2025.
I risultati, tuttavia, non sono stati quelli che il progetto auspicava, perché tutti gli emendamenti sono stati respinti.
Così, nemmeno quest’anno si è riusciti a estendere i congedi per i padri. Eppure l’impegno delle forze di governo c’era, sia nel Piano Strategico di Bilancio 2025-2029 che nell’ordine del giorno approvato a larga maggioranza alla Camera già nel dicembre 2023 in cui la politica si impegnava a: «potenziare il congedo di paternità fino alla completa equiparazione fra i due genitori».

L’impressione è che estendere i congedi per i padri sia ancora considerato un optional, quasi un lusso e quindi rinviabile. Ma non è cosi. In primo luogo perché c’è una forte e crescente domanda sociale alla quale la politica dovrebbe rispondere: un sondaggio realizzato dal progetto, che ha raccolto migliaia di riposte in tutta Italia da parte dei genitori di bambini e bambine, evidenzia che sia padri che madri chiedono congedi per i padri più lunghi e ben pagati. E poi, le evidenze scientifiche sui benefici per i bambini e le bambine del coinvolgimento pratico e affettivo del padre fin dall’inizio, con effetti che si prolungano nell’adolescenza e nell’età adulta, sono ormai ampiamente conosciute. I congedi per i padri sono inoltre un supporto importante per il benessere e la salute delle madri, e hanno anche effetti positivi su avvio, durata ed esclusività dell’ allattamento, ma aiutano anche a promuovere le paternità accudente, diminuendo il rischio della violenza domestica e di altri comportamenti violenti ed antisociali.

Un aspetto che può aver contribuito alla bocciatura delle proposte è una certa contrarietà al principio della obbligatorietà del congedo, una resistenza che riguarda però solo i padri, perché per le madri questo principio è ormai largamente acquisito. Allo stesso modo c’è una contrarietà al principio della non trasferibilità (parziale) dei congedi volontari. Chi porta queste obiezioni ritiene che le famiglie dovrebbero essere libere di organizzarsi come meglio credono. Ma non funziona così, se è vero che quasi tutti i paesi europei hanno politiche sui congedi che contemplano anche per i padri un periodo inziale obbligatorio intorno alla nascita, e successivi congedi genitoriali di cui una parte non trasferibile da un genitore all’altro. Gli stessi principi contenuti nella Direttiva UE sulla conciliazione del 2019. È evidente che se i congedi per i padri non sono obbligatori (nel senso che il datore di lavoro deve concederli) e parte dei congedi volontari sono trasferibili e non sono retribuiti in modo adeguato, è meno probabile che i padri li prendano.

Insomma, il perdurare di convinzioni e stereotipi culturali che non hanno corrispondenza né nei risultati della ricerca, né nella vita quotidiana delle persone, continua a impedire quel coinvolgimento dei padri di cui bambini e bambine prima di tutto, ma anche famiglie e società trarrebbero un grande giovamento.